L’EVOLUZIONE DEL MUSICISTA
Un problema di metodo?
Negli ultimi trent’anni non si è assistito ad alcuna significativa evoluzione nella didattica musicale, ovvero nei modi attraverso
cui i musicisti vengono formati e formano altri musicisti,
e ricercano una più evoluta capacità di espressione e racconto.
Se ciò corrispondesse all’effettivo raggiungimento di una qualità psicologica, tecnica e didattica veramente efficace non faremmo
che compiacercene, soddisfatti dell’evoluzione ottenuta.
Se non che una indagine sui metodi e sulle modalità di insegnamento e di apprendimento attualmente diffusi nella nostra cultura
mostra molto chiaramente come questi siano fondati su basi estremamente povere.
Si cerca la persona, dietro lo studente di musica, e non la si trova.
Si cerca la persona, dietro l’insegnante di musica,
e la si distingue a fatica.
Si guarda alla relazione tra questi due personaggi, e la si scopre spesso povera, insufficiente a dare ragione degli obbiettivi comuni.
Noi siamo esseri umani, individui, mentre nel rapporto tra maestro
di musica ed allievo tutto appare essere particellizzato, sconnesso:
non v’è sentore di una coscienza concreta della nostra individualità;
e con ciò intendiamo che nella nostra cultura non pare esservi
alcuna consapevole istanza di integrità nell’approccio alla musica
ed all’insegnamento della tecnica strumentale (per tacere di altri
e fors’anche più ponderosi ambiti di analisi).
Soddisfatti dello status raggiunto, ci accontentiamo di verificare
che i metodi correnti producono, a volte, dei fuoriclasse,
i quali apparentemente confermano la bontà delle procedure;
chi non riesce, semplicemente, “non era portato”.
L’insorgere poi di problemi fisici, di malattie professionali,
viene vissuto con un senso di imponderabilità e di fatalità
che lascia sconcertati, quasi la castrazione fisica rappresentasse, simbolicamente, l’offerta dovuta agli dèi per riscattare
la nostra presunzione.
In questo desolante panorama non possiamo
che essere d’accordo col Maestro Leonardo Reiner Bianchi,
quando nell’Ultima Metafora scrive:
Le attuali scuole ed accademie di musica seguono l’intento di dare
a tutti gli stessi mezzi di studio, lasciando che le peculiarità dei singoli provochino una selezione naturale: l’abbandono degli studi
per chi non è portato allo strumento, il monotono continuo degli studi per i mediocri e la carriera nel mondo concertistico per i pochi talenti validi. Il problema che colpisce però, è che questa selezione drastica, quantitativamente enorme e spesso definitiva per i perdenti, è causata più dai metodi inopportuni, standardizzati e non adattabili al singolo, che al talento di quelli che, dimostrando le differenze, riescono
a far strada. La loro superiorità, nella maggior parte dei casi,
è data dal fatto che il metodo standard usato si confaceva casualmente
con le proprie peculiarità caratteriali e psicologiche.
Ogni metodo in musica è semplicemente ciò che è stato deciso
sia statisticamente più valido, educativo e selettivo.
Noi crediamo si possa e si debba cercare una strada più capace
di rappresentare le reali qualità e caratteristiche della persona umana (svolga essa ruolo di docente o di discente), i suoi desideri
e le sue aspirazioni; e più efficace nell’adattarsi alle peculiarità
del singolo ed indirizzarle verso i suoi fini di realizzazione.
Quanto detto non vuole essere accusatorio o censorio nei confronti della classe docente, ma piuttosto provocatorio verso la cultura
di cui noi tutti siamo figli: non dimentichiamo, infatti, che gli insegnanti sono stati allievi.
Viene spontaneo domandarsi come si possa fondare un metodo didattico (quindi un insieme organico di procedure, posto sempre
in essere all’interno di una relazione tra due persone, atto ad agire
su un individuo consenziente al fine di modificarne la capacità espressiva ed operativa secondo certi canoni ritenuti più qualificanti) senza occuparsi esplicitamente e principalmente dell’individuo,
cioè della persona. E diciamo “senza occuparsi” non perché
ne manchino il desiderio o l’interesse, ma perché il modello
di “persona” su cui oggi agisce il metodo didattico musicale risulta abbondantemente approssimato per difetto, al punto da sollevare
il dubbio di come si possa pensare di agire con efficacia su un’entità A attraverso un simulacro B così povero rispetto al suo prototipo...
Questa situazione ha varie cause, tra cui una conoscenza
non adeguata delle vaste dinamiche invocate dal rapporto didattico, una percezione disorganica della persona e delle sue istanze
ed il costante tentativo, da parte della cultura, di ridurre l’essere umano ad entità semplificata, più facilmente controllabile.
È, forse, il caso di specificare che non stiamo criticando il metodo
di relazione tra docente ed allievo, ma tout-court la base di conoscenze su cui oggi qualsiasi proposito di evoluzione tecnica in campo musicale anche personale ed autodidattico può basarsi.
È nostro ben ponderato parere che una effettiva evoluzione nei metodi di formazione di un musicista (in particolare per quanto attiene
alla tecnica), che riguardi la qualificazione di se stessi
o di un proprio allievo, debba passare per i seguenti punti:
• un grande rispetto per la coerenza ed unitarietà della persona;
• una conoscenza composita, a largo spettro, della natura dell’uomo e delle sue caratteristiche;
• un modello efficace e coerente che da questa conoscenza discenda;
• un conseguente approccio consapevole e multimediale;
• un punto di vista sufficientemente “lontano” da abbracciare
il più possibile di quest’essere umano il quale sempre, in parte, continuerà a sfuggirci
• un punto di vista sufficientemente “vicino” da mantenere sempre,
nella relazione tra maestro ed allievo, il calore e la compartecipazione emotiva che tutto ciò che ruota attorno all’Arte pretende.
L’invito è diretto a tutti i musicisti: noi riteniamo che sia ormai opportuno modificare la rappresentazione che il musicista ha di sé, perché egli riesca a trovare nuovi spunti evolutivi. Il pensiero non va tanto a chi si senta arrivato - il quale evidentemente non ha motivo
per ricercare alcunché - quanto a chi sia alla ricerca di nuove strade,
di un approccio che dia più ragione delle nostre potenzialità
e della nostra natura; a chi avverta un limite metodologico
nel procedere. Questo approccio potrà poi dare frutti sia nell’evoluzione personale che nella capacità di portare altre persone - che a noi
si rivolgeranno - verso nuovi livelli di espressione e di prestazione.
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